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Vita e parole di Maitre Philippe Il Vangelo di Maitre Philippe

Medicamenti


Durante più di quarant’anni consacrati alla consolazione della sofferenza umana, il Maestro ha operato innumerevoli guarigioni. Molte testimonianze sono giunte alla mia conoscenza, ma cosa rappresentano rispetto a quelle che sono cadute nell’oblio!
Qui di seguito vengono riportati alcuni di quegli interventi miracolosi. Certi si sono svolti sotto i miei occhi, altri mi sono stati narrati dal Maestro per glorificare l’onnipotenza divina, altri ancora sono stati annotati da diversi testimoni.
Infine mi è stato affidato un dossier contenente sessantotto attestati di guarigioni, scritti e firmati dai malati stessi su carta bollata, con i loro nomi e indirizzi, accompagnati spesso da una legalizzazione del sindaco. Essi dichiarano di essere stati guariti da M. Philippe senza manipolazioni, senza rimedi, sia alle riunioni sia a distanza, senza che egli li abbia visti. Molti attestati sono scritti “per servire la verità” oppure “per ringraziarlo”. Uno di essi dice: “Do questo a M. Philippe per riconoscenza e ricompensa, dato che egli non ne chiede”. Un altro: “Scrivo questo per rendere omaggio alla verità e per pagare il mio debito di gratitudine alla dedizione umanitaria di M. Philippe, che non si può mai abbastanza lodare e aiutare a compiere il pesante compito che pare essersi imposto”.
Questi attestati portano delle date scaglionate da marzo 1869 a settembre 1871, cioè quando il Maestro aveva dai venti ai ventidue anni.
Mi sono contentato di segnalare una dozzina di guarigioni di questo dossier, concernenti malattie gravi, dando le iniziali degli interessati e i loro indirizzi.
Ma vi sono altri mali meno visibili: lacerazioni del cuore, tormenti dello spirito, sofferenze di ogni sorta generate dalla miseria, che il “ Padre dei poveri ” leniva con una compassione infinita e una bontà senza limiti. Quelli che lo attorniavano conoscevano bene la sua generosità, ma nessuno potrebbe dire i soccorsi di ogni specie che prodigava, tanto egli sapeva circondarli di silenzio e di discrezione. Solo dopo la sua morte si seppe qualcosa dei numerosi poveri per i quali pagava l’affitto, di vedove e ragazze madri che aiutava a vivere e ad allevare i loro figli.

14 marzo 1869. Guarigione di una sordità di vecchia data. M.me Pli. B., 9 Rue des Quatre-Chapeaux, Lione.
5 aprile 1869. Crisi di epilessia. M. Y.I. 7, Rue Sainte‑Blandine, Lione.
5 aprile 1869. Malattia di petto risalente a dodici anni. M.D. 63, Rue de Trion, Lione.
3 maggio 1869. Malattia di cuore. M.P. 15, Rue du Chariot d’Or, Lione.
7 luglio 1869. Paralisi del piede destro. M.me G.M. 14, Rue du Chariot d’Or, Lione.
12 agosto 1869. Emorragia durata undici mesi. M.me R.A. Serrezin près Bourgoin (Isère).
13 agosto 1869. Sordità durata vent’anni. M.me P.C. 30, Chemin de l’Oratoire, Caluire.
20 agosto 1869. Guarigione di un gozzo esistente da quattordici anni. M.P.A. 19, Rue du Belvedere, Caluire.
Dicembre 1869. Ernia doppia, sbocchi di sangue, perdita della vista all’occhio destro. M.C.F. Duerne (Rhône).
15 novembre 1870. Male agli occhi di cui il figlio del firmatario soffriva da sei anni. Male allo stomaco di cui sua figlia soffriva da otto anni. M.B. Place du Change, Lione.
14 dicembre 1870. Febbre intermittente, gonfiore alle gambe. M.L.K. 88, avenue de Saxe, Lione.
18 dicembre 1870. Malattia di fegato. M.G. Rue Camille, Montchat.

Ho assistito alla riunione, al 35 di Rue Tête-d’Or, in cui il professor Brouardel, della Facoltà di Medicina di Parigi, è venuto a rendersi conto di ciò che faceva M. Philippe. C’era nella sala una malata ansimante, che camminava a fatica, fortemente gonfia al ventre e alle gambe, che attirò l’attenzione del professore. M. Philippe pregò quest’ultimo d’esaminare la povera donna in una stanza attigua alla sala delle riunioni, in presenza di qualche allievo, fra cui io stesso, designato da lui. Alla fine della riunione ci raggiunse. «Ebbene! ‑ disse al professore ‑ che pensate di questa donna?». Questi spiegò che la persona soffriva d’idropisia generalizzata e che non aveva probabilmente che pochi giorni da vivere. Quando la donna tornò nella sala, sostenuta dagli allievi, avanzava con la più estrema difficoltà; la sua respirazione, corta ed oppressa, faceva male a sentirsi. «Cammina!» le disse M. Philippe. «Ma non posso!». «Cammina più svelta!». Ed ecco che, dopo un istante, il suo passo esitante si fece più agevole ed ella esclamò con gioia: «Ed ora, danzerò!» trattenendosi i vestiti divenuti d’improvviso troppo ampi. Il gonfiore del ventre era sparito, come anche quello delle gambe, e la gioia di vivere era tornata nel suo corpo che la Facoltà aveva condannato un istante prima. E non c’era sul pavimento alcuna traccia d’acqua. Il professore Brouardel avanzò verso M. Philippe e gli intesi dire: «M’inchino, ma la scienza non può comprendere ciò che s’è appena verificato». Poi, salutando M. Philippe e i testimoni, se ne andò.

Un giorno, un giovane che vedevo regolarmente da qualche mese alla riunione, mi avvicinò nel cortile e mi domandò: «Potreste dirmi perché M. Philippe non mi guarisce, mentre da tre mesi che vengo qui vedo tutti i giorni accanto a me delle persone che vengono guarite?». «Che avete come malattia?» gli domandai. «Ho ricevuto un calcio di cavallo alla base del petto, ne ho sofferto terribilmente. Nessuno dei quattro o cinque medici che ho consultato ha potuto curarmi. La prima volta che sono venuto qui ho provato un tale sollievo che ho potuto camminare e lavorare, ma ancora oggi non sono guarito». «Che avete fatto per ricevere un calcio di cavallo?». «Mi piaceva molto molestare quegli animali, li punzecchiavo per farli scalciare». «Ammettendo che voi sarete guarito, continuereste a divertirvi così?». «No, non potrei più, non mi divertirebbe affatto e mi farebbe pena veder soffrire un cavallo». Gli dissi allora: «Più tardi, quando vedrete M. Philippe, ripetetegli ciò che mi avete detto». Alla riunione lo vidi alzarsi all’avvicinarsi del Maestro, ma prima che potesse pronunciare una parola M. Philippe gli disse: «Sei guarito».

Una donna veniva da molto tempo alla riunione per suo marito, ma non otteneva la sua guarigione. All’uscita da una riunione lo dissi a M. Philippe, mentre lo accompagnavo alla stazione di Saint-Paul, e lui mi rispose: «È perché, durante la sua vita, non ha mai fatto nulla per il suo prossimo».
Arrivati al ponte Morand, M. Philippe mi disse all’improvviso: «Il marito di quella donna è guarito». E vedendomi stupito il Maestro aggiunse: «In questo stesso istante, ha incontrato una povera donna ansante che ha poggiato la borsa della spesa piena di verdura accanto a sé, sul marciapiedi, per riprendere fiato prima di attraversare la strada. Senza conoscerla, ella le ha domandato: “Andate lontano, signora?”. “ No ‑ ha risposto la vecchia ‑ in quel viale”, che mostrava a trenta metri più oltre. Senza dire altro, la piccola signora ha preso la borsa della spesa e l’ha portata nel viale, fino alla soglia di casa della vecchia che la seguiva. È il primo moto di bontà che ha avuto nella sua vita. Questo è sufficiente, e il Cielo gliene è stato grato. Ma a te, se avessi fatto la stessa cosa, non sarebbe servito a nulla».

«Il curato d’Ars – ci disse un giorno M. Philippe – era un pastore inviato per proteggere le pecore. Un giorno andò da lui una madre col suo bambino, colpito da lungo tempo da paralisi doppia infantile. Non camminava che con le stampelle. Il curato d’Ars l’esaminò e disse: “Da parte nostra, non possiamo far altro che impedire al male di aumentare, ma fra qualche tempo incontrerete un giovane che lo guarirà”. La donna andò via e, più tardi, a Lione, venne per caso a trovarmi. Il bambino era seduto su una sedia. Vidi che era guarito. Dissi allora alla donna di salire con suo figlio a Fourvière e di appendere le stampelle come ex-voto, e poiché la donna mi rispose che non poteva, dissi al bambino di alzarsi e di camminare, ed egli lo fece subito».

Il bey (governatore) di Tunisi soffriva molto di una terribile malattia. Vedendo che i medici italiani che lo curavano non gli procuravano alcun sollievo, egli disse loro: «Non vi sarebbe possibile alleviare le mie sofferenze intollerabili?». Uno di essi dichiarò che non conosceva che uno dei loro colleghi che poteva curarlo, e precisò che si chiamava Philippe e abitava a Lione. Il bey diede subito ordine che gli venisse inviato un telegramma. Quando lo ricevette, il Maestro si fece rilasciare un passaporto dalla Prefettura, il 7 gennaio 1881, e partì per Tunisi. Al suo arrivo fu immediatamente ricevuto dal bey che gli chiese di fargli sapere l’esatta verità sul suo male. M. Philippe gli dichiarò che a partire da quel momento avrebbe cessato di soffrire, ma che non avrebbe potuto vivere che diciotto mesi. Il bey, sorpreso e felice di essere subitamente liberato dalle sue grandi sofferenze, domandò al Maestro cosa desiderasse. Il Maestro gli rispose che non chiedeva nulla. Il bey ordinò allora che il nome di M. Philippe fosse iscritto negli annali e che a datare da quel giorno quattro ufficiali del suo palazzo fossero tenuti ad accompagnarlo nei suoi Stati, in tutti i luoghi ove gli piacesse andare, e ciò ogni volta che in avvenire ne manifestasse il desiderio. Il Maestro fu inoltre decorato dell’Ordine del Nicham Iftikar il 24 febbraio dello stesso anno con il grado di Ufficiale. Diciotto mesi più tardi il bey rendeva l’ultimo respiro.

A diverse riprese, M. Philippe si è lasciato condannare per esercizio illegale della medicina.
Il 27 agosto 1898, ad un pranzo fra intimi in cui si trovavano in particolare il dottor Lalande, Papus, Sédir, M.me Chestakoff e sua figlia M.me Marshall, M. Philippe raccontò le circostanze del suo ultimo processo. Questa volta il procuratore, oltre che dell’esercizio illegale della medicina, l’aveva accusato d’aver rubato il portamonete delle donne che assistevano alle sue riunioni. L’indomani lo stesso procuratore lo andò a trovare a casa perché suo figlio aveva la difterite e i dottori lo credevano perduto. Il magistrato disse a M. Philippe: «Sono stato duro con voi, vi ho fatto condannare ma, se lo potete, venite a guarire mio figlio». M. Philippe gli rispose: «Potete rientrare a casa, vostro figlio è guarito».

Il Maestro, trovandosi all’ufficio telegrafico, vide allo sportello una povera donna che voleva inviare un telegramma di risposta a quello ricevuto che le annunciava che suo figlio, dato a balia, stava malissimo. Non avendo abbastanza soldi, ella fu obbligata ad andarsene, dicendo che sarebbe tornata. Il Maestro venne ad informarmi di quella triste situazione e, mettendomi venticinque franchi in mano, mi disse: «Andate a portare questo danaro a quella povera donna e ditele che suo figlio non è più malato, che al suo arrivo dalla balia lo troverà in buona salute. Non dimenticate di aggiungere che, se ha bisogno di qualcosa, venga a chiedermelo». Il Maestro mi indicò un lavatoio dove quella donna lavorava. Arrivato sul posto, chiesi al proprietario di chiamare la donna che stava tornando dal telegrafo. Quando fu in mia presenza le dissi: «Tenete, questo ve lo manda M. Philippe. Mi ha pregato di prevenirvi che vostro figlio non è più malato: arrivando dalla balia lo troverete in buona salute. Se avete bisogno di qualcosa, venite da M. Philippe, a Rue Tête-d’Or 35, ed egli vi darà ciò vi sarà necessario». La povera donna, che non conosceva M. Philippe, fu molto sorpresa. Immaginate la sua gioia. Felice, mi pregò di ringraziarlo, in attesa di potere, al suo ritorno, ringraziarlo di persona (Laurent).

Un uomo di trentacinque anni aveva ricevuto un calcio di cavallo alla spalla sinistra che gli aveva fratturato la clavicola. Era stato operato e gli erano stati tolti dei frammenti d’osso. Da un anno aveva il braccio rigido. Il Maestro gli disse che si sarebbe potuto fare qualcosa per lui e aggiunse: «Vi ricordate di quel malato che venne alla riunione con un dito tranciato che si era messo in tasca?». Molte persone presenti risposero affermativamente. «Vi ricordate che tornò in seguito col suo dito intero e guarito? Ebbene, sarà lo stesso per quest’uomo, le ossa della sua spalla ricresceranno ed egli potrà servirsi del suo braccio». Qualche istante dopo M. Philippe domandò al malato: «Senti qualche miglioramento al tuo braccio?». «Sì». «Ne sei ben sicuro?». Quello rispose ancora affermativamente. In effetti, noi tutti potevamo vedere quell’uomo muovere il braccio e la mano (23.1.1903).

Una ragazza che soffriva di carie ossea alla gamba ha potuto tenersi in piedi e poi camminare davanti ad un’assemblea composta di circa ottanta persone (3.3.1895).

Una donna anziana e malata non riusciva a guarire. M. Philippe le chiese: «Non hai nulla sulla coscienza?». «No». «Non hai mai commesso ciò che si chiama. un furto?». « Molto tempo fa, ho preso un vestito in un negozio e, poiché costava venti franchi, non potrei mai pagarlo, anche se volessi farlo. Non ho messo insieme che sei franchi». «Bene. Dammi quei sei franchi vi metterò il resto, e che il Cielo cancelli ciò che tu hai fatto». La guarigione fu istantanea.
M. Philippe si recò dal commerciante in questione con i venti franchi. Era morto, suo figlio gli era succeduto. M. Philippe gli spiegò che qualche anno prima una donna aveva rubato da lui un vestito da venti franchi e gli restituì la somma maggiorandola, a condizione che egli perdonasse la donna, ciò che quello fece di buon grado.

Un uomo lanciava dei petardi al n. 35. M. Philippe disse alle signore che avevano paura: «Lasciate fare, non vi inquietate». L’ultimo petardo ferì alla mano l’uomo in questione. Nulla poteva guarire quella ferita, l’uomo soffriva terribilmente. Venne a chiedere perdono e ottenne la guarigione.

Una donna si presentò con un braccio paralizzato da sette mesi. Il Maestro le ordinò di massaggiarsi con l’altra mano. Al termine di una serie di tentativi, alzò il suo dito all’altezza dell’occhio (25.11.1896).

M. Philippe girava in vettura con un amico nei dintorni de L’Arbresle. Scorse un paralitico seduto sul bordo della strada. Si fermò e gli disse: «Portami quella pietra». L’uomo esitò, poi si alzò e gli portò il sasso.

«Era venuto da me, qualche tempo fa – mi disse un giorno M. Philippe – un malato al quale avevo detto: “Voi guarirete, ma ad una condizione, che abbandoniate la causa che avete in corso e che restituiate alle persone ciò che compete loro”. L’uomo mi disse: “Oh, è molto facile, ve lo prometto”. “Fate bene attenzione, gli dissi, all’impegno che prenderete, è come se lo prendeste davanti a Dio, perché io prometto a Lui in vostro nome”. L’uomo è stato guarito. Qualche mese dopo sua moglie venne a cercarmi: suo marito era molto malato. Gli domandai se aveva mantenuto la sua promessa. “No – mi disse lei – da qualche tempo ha ripreso le azioni legali”. “Allora non posso fare nulla per lui”. In effetti, rientrando, trovò suo marito morto».

Ad una riunione la signora J. era seduta a fianco di un uomo paralizzato al braccio destro. M. Philippe passò e domandò a quell’uomo cosa aveva. «Non posso servirmi del mio braccio» rispose l’uomo. M. Philippe continuò il suo giro, poi tornò al centro della sala. Lì passeggiò in lungo e in largo dicendo: «Vi sono delle persone che vengono qui a chiedere di essere guarite, ma non si ricordano proprio nulla, quelle persone?». Sempre passeggiando, tornò verso il malato e gli domandò: «Allora, hai realmente bisogno che il tuo braccio sia guarito?». «Oh, sì signore, mi dà molto fastidio non posso lavorare». «Eppure, l’hai ben agitato in altri tempi. Non ti ricordi forse d’aver fatto questo gesto?» (e M. Philippe alzò il braccio). L’uomo divenne pallido e, in capo a qualche istante, senza attendere la fine della riunione, se ne andò. Sei mesi dopo, M. Philippe raccontò, lanciando uno sguardo alla signora J., che un giorno ad una seduta era venuto un uomo che era stato paralizzato al braccio perché aveva ucciso suo fratello. Quell’uomo chiedeva ugualmente la sua guarigione. «Ma – disse M.me J. – il Cielo l’ha guarito?». «Sì – rispose M. Philippe – gli ha accordato la guarigione».

Una madre venne tutta in lacrime a chiedere la salute di suo figlio. M. Philippe rifiutò di guarirlo. Allora quella donna pianse e si trascinò ai suoi piedi.
M. Philippe rispose: «Guarirà, poiché tu lo vuoi ».
Un anno dopo, la stessa donna tornò ancora in lacrime e, senza che pronunciasse una parola, M. Philippe le disse: «Ebbene, hai voluto tu che guarisse». Ora, quel ragazzo aveva appena ucciso suo padre.

A una riunione, nel novembre 1903, ho visto una giovane contadina con un tumore nero della grandezza di una noce sul mento. Soffriva da molti mesi di violenti mal di testa. Aveva dormito per qualche tempo sulla paglia in una casa in riparazione, molto umida, senza finestre. I medici non potevano fare nulla. C’era una carie della mascella e temevano che il tumore, eliminato dal viso, si trasportasse allo stomaco. Ho rivisto la ragazza due giorni più tardi, il tumore era diminuito e impallidito al termine di qualche giorno era quasi scomparso, e così anche i mal di testa.

Un droghiere, installato in un quartiere popoloso e che vendeva a credito, venne a trovare M. Philippe, che egli già conosceva, e gli disse che suo figlio, per il quale invece egli aveva chiesto, malato di difterite, era appena morto.
«Ebbene – gli fu risposto – sarò da te tra poco».
Arrivato a casa del droghiere, M. Philippe domandò a quest’ultimo: «Ci sono molte persone che ti devono del denaro?». «Sì, guardate, da tutti i clienti scritti su questo grosso quaderno, a malapena ho ricevuto qualche acconto». «Esigi il pagamento di tutti quei debiti?». «No, anzi lo butterò nel fuoco» e gettò il quaderno nel caminetto, in cui fiammeggiava un bel fuoco.
Il Maestro entrò nella camera del morto in cui si trovavano già delle persone venute per pregare presso di lui. «Hai già chiesto al medico di constatare il decesso?». «No, sono venuto prima da voi».
Allora il Maestro chiamò il giovane col suo nome, e lo rese vivo a suo padre. Poi raccomandò agli astanti di non raccontare nulla di ciò che avevano visto «perché ‑ disse ‑ è proibito fare dei miracoli».
Un giovane di nome Fier, che aveva un gozzo, aveva fatto chiedere dal sig. Laurent la sua guarigione al Maestro. «A che pro, tra un anno dovrà andare dall’altra parte!» Dopo questa risposta categorica, disse il sig. Laurent, osai insistere dicendogli: «Malgrado tutto vi supplico, Maestro, degnatevi di guarire Fier dal suo gozzo». Qualche giorno più tardi, vidi Fier venire da me e ringraziarmi d’aver ottenuto la sua guarigione. Gli feci notare che solo il Maestro doveva essere ringraziato.
Un anno più tardi, il Maestro mi disse: «Fier è molto malato, andate a vedere se sua madre ha bisogno di qualcosa». Mi recai presso Fier, che era agli estremi. Sua madre in lacrime mi disse: «Voi notate la mia triste situazione, non soltanto mio padre, che voi vedete malato, è a letto da tanto tempo, ma mio figlio è ai suoi ultimi istanti. Questa notte mi troverò senza dubbio sola e temo di vederlo morire».
Feci tutti i miei sforzi per confortare quella povera madre e, nel momento in cui le dicevo che il Maestro mi aveva inviato a lei, il Maestro entrò e, avvicinandosi al letto di Fier, disse, dopo qualche secondo di silenzio: «Fier, guarda!». E, alzando la mano, gli indicò un luogo. «Vedi quello che ti mostro?». «Oh, com’è bello!». «È bello! È là che tu andrai. Non dimenticare, quando sarai là, quelli che lasci quaggiù». Poi, dopo qualche secondo, il Maestro disse al giovane: «Fier, rendimi la tua anima». In quel momento Fier, cui un sorriso sfiorava le labbra, emise un profondo sospiro e rese la sua anima a colui che gliela chiedeva.

La signora Boudarel, la signorina Félicie, così come la madre di Fier, erano presenti.
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